Marieme vive i suoi sedici anni come una successione di divieti imposti dalla società: l'attitudine sessista del quartiere, la legge dei maschi, la scuola davanti a sé come un vicolo cieco. Presto, l'incontro con altre tre ragazze cambierà tutto ciò. La protagonista inizia ad utilizzare lo pseudonimo di Vic ed entra in una banda di quartiere tutta al femminile; un'esperienza che permetterà a Marieme di vivere in libertà e di trovare un'identità al di fuori delle imposizioni sociali. Dopo lo straordinario successo di Tomboy, Céline Sciamma torna a raccontare la storia di una giovanissima protagonista in cerca di un’identità e di un posto nel mondo, con uno stile capace come pochi di catturare le emozioni più segrete dell’animo femminile. Presentato in apertura della Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes, Diamante Nero ha ottenuto quattro candidature ai César ed è stato finalista al Premio Lux del Parlamento Europeo.
Da sempre attenta al mondo dei giovanissimi e al tema dell’identità femminile, Sciamma torna con Petite Maman alle atmosfere di Tomboy, uno dei suoi film più amati, dimostrando ancora una volta una sensibilità fuori dal comune. Il film ha per protagonista Nelly, una bambina di otto anni che dopo la morte della nonna passa qualche giorno nella casa di campagna dove è cresciuta la madre, Marion. Girovagando nel bosco, si imbatte per caso in un’altra bambina che sta costruendo una capanna di legno e con cui nasce un rapporto speciale: la nuova amica si chiama proprio Marion… Grazie a una storia che molti critici hanno accostato alla fantasia di Miyazaki, Petite Maman conquista gli spettatori con una riflessione sulla memoria, l’amicizia e la famiglia.
L’obiettivo principale di HerStories. Le Storie, Plurale, Femminile è intraprendere un percorso di narrazioni collettive al femminile. Questa seconda edizione è dedicata alla narrativa al femminile e al disegno dal vero. Due forme d’arte, due linguaggi, che si incontrano per stimolare un dialogo fertile, un’interconnessione tra stimoli artistici e culturali. Un ciclo di letture accompagnate da performance basate su disegni realizzati dal vivo ispirati brani stessi, confluiranno in quattro brevi book-trailers. Per iniziare questa nuova avventura, nella sede del Detour APS il 21 novembre, la Maestra di Pittura Olga Silivanchyk terrà un corso di “disegno veloce” che preparerà le disegnatrici e i disegnatori a cimentarsi nelle performance che avverranno negli appuntamenti successivi. Federica Tuzi, Sara Pollice, Maria Xilouri, Marina Lalović, quattro protagoniste della nuova narrativa indipendente europea, tra esordienti e più affermate, si alterneranno alla lettura di estratti delle loro più recenti creazioni letterarie.
HERSTORIES alla sua prima edizione desidera tracciare un percorso di narrazioni collettive al femminile. Quel che si intende realizzare è un racconto espanso al femminile, dove la storia di ognuna di noi è anche quella di tutte le altre. Per inaugurare questa nuova edizione di Herstories, il 21 novembre la Maestra di Pittura Olga Silivanchyk terrà un laboratorio gratuito di “disegno veloce”. Il lab è propedeutico alle performance di disegno che avverranno durante le letture di Federica Tuzi, Sara Pollice, Maria Xilouri, Marina Lalović, quattro protagoniste della nuova narrativa indipendente europea, tra esordienti e più affermate. BIO. Olga Silivanchyk, Maestra di Pittura nasce a Minsk, Bielorussia, nel 1980. Dal 2013 vive a Roma. Nel 2003 inizia a scoprire i segreti della tecnica iconografica e prende lezioni di pittura, disegno e composizione. Nel 2004 all'Accademia Statale della Belle Arti di Minsk, nella Facoltà di Pittura, studia le tecniche tradizionali. Nel 2008 si è diplomata con la qualifica di “Pittore, Insegnante" e inizia a insegnare presso la Scuola Statale d’Arte N41 di Minsk. Dal 2013 insegna a Roma.
In una remota cittadina islandese, Ingimundur è un capo di polizia in congedo dopo la scomparsa della moglie in un inspiegabile incidente stradale. Quando viene ritrovata una scatola con alcuni effetti personali della donna, Ingimundur inizia a sospettare che lei lo tradisse con un uomo del posto. Lentamente la ricerca della verità diventa ossessione e inevitabilmente l’uomo inizia a mettere in pericolo se stesso e i propri cari.
Tsai Ming-liang (vincitore del Leone d'Oro nel 1994 con Vive L'Amour) torna finalmente dietro la macchina da presa, a distanza di sette anni dal suo ultimo film, Stray Dogs. Il grande maestro taiwanese ha diretto per decenni raffinate indagini sull'alienazione, l'isolamento e la bellezza fugace delle relazioni umane, con protagonista la sua musa, l'attore Lee Kang-sheng. Il suo ultimo film, DAYS, è indubbiamente uno dei suoi lavori migliori, più scarni e intimi. Racconta il regista: «Days mi ha liberato da quel processo produttivo dei cosiddetti film industriali. Ho raggruppato una crew molto più piccola e ho cercato di non sforare un budget eccessivo. Era ciò che desideravo fare» Lee interpreta ancora una volta una variazione su sè stesso, vagando nel solitario paesaggio urbano di Hong Kong in cerca di cure per la sua malattia; allo stesso tempo, un giovane immigrato laotiano che lavora a Bangkok, interpretato da Anong Houngheuangsy, procede nella sua dura routine quotidiana. Questi due uomini solitari si incontreranno in un momento di guarigione, tenerezza e liberazione sessuale. Tra le voci più catartiche della filmografia di Tsai, DAYS è un'opera sul desiderio, costruita con il consueto talento del regista per la composizione visiva e attraversata da una profonda empatia. Col consenso unanime della critica e del pubblico, Days ha vinto il prestigioso premio Teddy Award al Festival di Berlino 2020, onorificenza che attesta la migliore pellicola a sfondo LGBT.Per fare questo il regista aveva coinvolto un team incredibile che comprendeva i designer H.R. Giger, Moebius e Chris Foss oltre all’esperto di effetti speciali Dan O’Bannon, le musiche dei Pink Floyd e attori come David Carradine, Mick Jagger, Salvador Dalì e Orson Welles.
In una remota cittadina islandese, Ingimundur è un capo di polizia in congedo dopo la scomparsa della moglie in un inspiegabile incidente stradale. Quando viene ritrovata una scatola con alcuni effetti personali della donna, Ingimundur inizia a sospettare che lei lo tradisse con un uomo del posto. Lentamente la ricerca della verità diventa ossessione e inevitabilmente l’uomo inizia a mettere in pericolo se stesso e i propri cari.
Da sempre attenta al mondo dei giovanissimi e al tema dell’identità femminile, Sciamma torna con Petite Maman alle atmosfere di Tomboy, uno dei suoi film più amati, dimostrando ancora una volta una sensibilità fuori dal comune. Il film ha per protagonista Nelly, una bambina di otto anni che dopo la morte della nonna passa qualche giorno nella casa di campagna dove è cresciuta la madre, Marion. Girovagando nel bosco, si imbatte per caso in un’altra bambina che sta costruendo una capanna di legno e con cui nasce un rapporto speciale: la nuova amica si chiama proprio Marion… Grazie a una storia che molti critici hanno accostato alla fantasia di Miyazaki, Petite Maman conquista gli spettatori con una riflessione sulla memoria, l’amicizia e la famiglia.
Tsai Ming-liang (vincitore del Leone d'Oro nel 1994 con Vive L'Amour) torna finalmente dietro la macchina da presa, a distanza di sette anni dal suo ultimo film, Stray Dogs. Il grande maestro taiwanese ha diretto per decenni raffinate indagini sull'alienazione, l'isolamento e la bellezza fugace delle relazioni umane, con protagonista la sua musa, l'attore Lee Kang-sheng. Il suo ultimo film, DAYS, è indubbiamente uno dei suoi lavori migliori, più scarni e intimi. Racconta il regista: «Days mi ha liberato da quel processo produttivo dei cosiddetti film industriali. Ho raggruppato una crew molto più piccola e ho cercato di non sforare un budget eccessivo. Era ciò che desideravo fare» Lee interpreta ancora una volta una variazione su sè stesso, vagando nel solitario paesaggio urbano di Hong Kong in cerca di cure per la sua malattia; allo stesso tempo, un giovane immigrato laotiano che lavora a Bangkok, interpretato da Anong Houngheuangsy, procede nella sua dura routine quotidiana. Questi due uomini solitari si incontreranno in un momento di guarigione, tenerezza e liberazione sessuale. Tra le voci più catartiche della filmografia di Tsai, DAYS è un'opera sul desiderio, costruita con il consueto talento del regista per la composizione visiva e attraversata da una profonda empatia. Col consenso unanime della critica e del pubblico, Days ha vinto il prestigioso premio Teddy Award al Festival di Berlino 2020, onorificenza che attesta la migliore pellicola a sfondo LGBT.Per fare questo il regista aveva coinvolto un team incredibile che comprendeva i designer H.R. Giger, Moebius e Chris Foss oltre all’esperto di effetti speciali Dan O’Bannon, le musiche dei Pink Floyd e attori come David Carradine, Mick Jagger, Salvador Dalì e Orson Welles.
In una remota cittadina islandese, Ingimundur è un capo di polizia in congedo dopo la scomparsa della moglie in un inspiegabile incidente stradale. Quando viene ritrovata una scatola con alcuni effetti personali della donna, Ingimundur inizia a sospettare che lei lo tradisse con un uomo del posto. Lentamente la ricerca della verità diventa ossessione e inevitabilmente l’uomo inizia a mettere in pericolo se stesso e i propri cari.
Nel 1975 dopo il successo di El Topo e La montagna sacra Alejandro Jodorowsky era il cineasta intellettuale più ricercato del mondo, aveva carta bianca e quello che voleva era realizzare il film più importante della storia del cinema, traendo spunto dai romanzi della saga di Dune di Frank Herbert. Il suo Dune, doveva essere un film rivoluzionario in grado di cambiare la mentalità delle giovani generazioni fornendo nuovi modelli di riferimento. Per fare questo il regista aveva coinvolto un team incredibile che comprendeva i designer H.R. Giger, Moebius e Chris Foss oltre all’esperto di effetti speciali Dan O’Bannon, le musiche dei Pink Floyd e attori come David Carradine, Mick Jagger, Salvador Dalì e Orson Welles.
Tsai Ming-liang (vincitore del Leone d'Oro nel 1994 con Vive L'Amour) torna finalmente dietro la macchina da presa, a distanza di sette anni dal suo ultimo film, Stray Dogs. Il grande maestro taiwanese ha diretto per decenni raffinate indagini sull'alienazione, l'isolamento e la bellezza fugace delle relazioni umane, con protagonista la sua musa, l'attore Lee Kang-sheng. Il suo ultimo film, DAYS, è indubbiamente uno dei suoi lavori migliori, più scarni e intimi. Racconta il regista: «Days mi ha liberato da quel processo produttivo dei cosiddetti film industriali. Ho raggruppato una crew molto più piccola e ho cercato di non sforare un budget eccessivo. Era ciò che desideravo fare» Lee interpreta ancora una volta una variazione su sè stesso, vagando nel solitario paesaggio urbano di Hong Kong in cerca di cure per la sua malattia; allo stesso tempo, un giovane immigrato laotiano che lavora a Bangkok, interpretato da Anong Houngheuangsy, procede nella sua dura routine quotidiana. Questi due uomini solitari si incontreranno in un momento di guarigione, tenerezza e liberazione sessuale. Tra le voci più catartiche della filmografia di Tsai, DAYS è un'opera sul desiderio, costruita con il consueto talento del regista per la composizione visiva e attraversata da una profonda empatia. Col consenso unanime della critica e del pubblico, Days ha vinto il prestigioso premio Teddy Award al Festival di Berlino 2020, onorificenza che attesta la migliore pellicola a sfondo LGBT.Per fare questo il regista aveva coinvolto un team incredibile che comprendeva i designer H.R. Giger, Moebius e Chris Foss oltre all’esperto di effetti speciali Dan O’Bannon, le musiche dei Pink Floyd e attori come David Carradine, Mick Jagger, Salvador Dalì e Orson Welles.
Da sempre attenta al mondo dei giovanissimi e al tema dell’identità femminile, Sciamma torna con Petite Maman alle atmosfere di Tomboy, uno dei suoi film più amati, dimostrando ancora una volta una sensibilità fuori dal comune. Il film ha per protagonista Nelly, una bambina di otto anni che dopo la morte della nonna passa qualche giorno nella casa di campagna dove è cresciuta la madre, Marion. Girovagando nel bosco, si imbatte per caso in un’altra bambina che sta costruendo una capanna di legno e con cui nasce un rapporto speciale: la nuova amica si chiama proprio Marion… Grazie a una storia che molti critici hanno accostato alla fantasia di Miyazaki, Petite Maman conquista gli spettatori con una riflessione sulla memoria, l’amicizia e la famiglia.
Preparate le vostre maschere terrifiche per il nuovo Hallow E’en Horror Party al Detour APS! DETOUR LOVES YOU: TUTTO A OFFERTA LIBERA! Happy Hallow E’en Drinks e Film Horror Vintage Anni '50.
L’esplorazione del territorio va di pari passo con l’esplorazione nella storia, per svelare l’anima più profonda del Cile. Proprio come ci ha abituati Guzmán. Nel documentario, vincitore del Festival di Cannes, le alte cime della cordigliera si caricano di una moltitudine di significati simbolici, spesso contraddittori, stratificati come la roccia. La poesia visiva del paesaggio si sovrappone alle testimonianze dei cittadini cileni, che rivivono i loro ricordi della dittatura di Pinochet. Una nostalgia, un senso di frustrazione schiacciante che non affligge solo il popolo cileno ma anche la sua Cordigliera, le voci umane si fondono con quella silente della roccia, in un commovente grido di avvertimento alle nuove generazioni, affinché non si rassegnino mai.
Interpretato da una coppia di attrici leggendarie, Barbara Sukowa e Martine Chevallier, il film affronta un tema inconsueto come l’amore tra due donne mature, mescolando dramma, suspense e ironia. Le protagoniste, Nina e Madeleine, si amano infatti in segreto da decenni e tutti, compresi i parenti di Madeleine, pensano che siano solo vicine di casa, vivendo entrambe all’ultimo piano dello stesso palazzo. Quando la routine di ogni giorno viene sconvolta da un evento imprevisto, la famiglia di Madeleine finisce per scoprire la verità e l’amore tra le due è messo a dura prova… Già accolto con entusiasmo ai festival di Toronto, Rotterdam e Roma, rappresenterà la Francia nella corsa all’Oscar per il Miglior film straniero.
Nel 1975 dopo il successo di El Topo e La montagna sacra Alejandro Jodorowsky era il cineasta intellettuale più ricercato del mondo, aveva carta bianca e quello che voleva era realizzare il film più importante della storia del cinema, traendo spunto dai romanzi della saga di Dune di Frank Herbert. Il suo Dune, doveva essere un film rivoluzionario in grado di cambiare la mentalità delle giovani generazioni fornendo nuovi modelli di riferimento. Per fare questo il regista aveva coinvolto un team incredibile che comprendeva i designer H.R. Giger, Moebius e Chris Foss oltre all’esperto di effetti speciali Dan O’Bannon, le musiche dei Pink Floyd e attori come David Carradine, Mick Jagger, Salvador Dalì e Orson Welles.
Interpretato da una coppia di attrici leggendarie, Barbara Sukowa e Martine Chevallier, il film affronta un tema inconsueto come l’amore tra due donne mature, mescolando dramma, suspense e ironia. Le protagoniste, Nina e Madeleine, si amano infatti in segreto da decenni e tutti, compresi i parenti di Madeleine, pensano che siano solo vicine di casa, vivendo entrambe all’ultimo piano dello stesso palazzo. Quando la routine di ogni giorno viene sconvolta da un evento imprevisto, la famiglia di Madeleine finisce per scoprire la verità e l’amore tra le due è messo a dura prova… Già accolto con entusiasmo ai festival di Toronto, Rotterdam e Roma, rappresenterà la Francia nella corsa all’Oscar per il Miglior film straniero.
L’esplorazione del territorio va di pari passo con l’esplorazione nella storia, per svelare l’anima più profonda del Cile. Proprio come ci ha abituati Guzmán. Nel documentario, vincitore del Festival di Cannes, le alte cime della cordigliera si caricano di una moltitudine di significati simbolici, spesso contraddittori, stratificati come la roccia. La poesia visiva del paesaggio si sovrappone alle testimonianze dei cittadini cileni, che rivivono i loro ricordi della dittatura di Pinochet. Una nostalgia, un senso di frustrazione schiacciante che non affligge solo il popolo cileno ma anche la sua Cordigliera, le voci umane si fondono con quella silente della roccia, in un commovente grido di avvertimento alle nuove generazioni, affinché non si rassegnino mai.
Nel 1975 dopo il successo di El Topo e La montagna sacra Alejandro Jodorowsky era il cineasta intellettuale più ricercato del mondo, aveva carta bianca e quello che voleva era realizzare il film più importante della storia del cinema, traendo spunto dai romanzi della saga di Dune di Frank Herbert. Il suo Dune, doveva essere un film rivoluzionario in grado di cambiare la mentalità delle giovani generazioni fornendo nuovi modelli di riferimento. Per fare questo il regista aveva coinvolto un team incredibile che comprendeva i designer H.R. Giger, Moebius e Chris Foss oltre all’esperto di effetti speciali Dan O’Bannon, le musiche dei Pink Floyd e attori come David Carradine, Mick Jagger, Salvador Dalì e Orson Welles.
L’esplorazione del territorio va di pari passo con l’esplorazione nella storia, per svelare l’anima più profonda del Cile. Proprio come ci ha abituati Guzmán. Nel documentario, vincitore del Festival di Cannes, le alte cime della cordigliera si caricano di una moltitudine di significati simbolici, spesso contraddittori, stratificati come la roccia. La poesia visiva del paesaggio si sovrappone alle testimonianze dei cittadini cileni, che rivivono i loro ricordi della dittatura di Pinochet. Una nostalgia, un senso di frustrazione schiacciante che non affligge solo il popolo cileno ma anche la sua Cordigliera, le voci umane si fondono con quella silente della roccia, in un commovente grido di avvertimento alle nuove generazioni, affinché non si rassegnino mai.
Interpretato da una coppia di attrici leggendarie, Barbara Sukowa e Martine Chevallier, il film affronta un tema inconsueto come l’amore tra due donne mature, mescolando dramma, suspense e ironia. Le protagoniste, Nina e Madeleine, si amano infatti in segreto da decenni e tutti, compresi i parenti di Madeleine, pensano che siano solo vicine di casa, vivendo entrambe all’ultimo piano dello stesso palazzo. Quando la routine di ogni giorno viene sconvolta da un evento imprevisto, la famiglia di Madeleine finisce per scoprire la verità e l’amore tra le due è messo a dura prova… Già accolto con entusiasmo ai festival di Toronto, Rotterdam e Roma, rappresenterà la Francia nella corsa all’Oscar per il Miglior film straniero.
L’esplorazione del territorio va di pari passo con l’esplorazione nella storia, per svelare l’anima più profonda del Cile. Proprio come ci ha abituati Guzmán. Nel documentario, vincitore del Festival di Cannes, le alte cime della cordigliera si caricano di una moltitudine di significati simbolici, spesso contraddittori, stratificati come la roccia. La poesia visiva del paesaggio si sovrappone alle testimonianze dei cittadini cileni, che rivivono i loro ricordi della dittatura di Pinochet. Una nostalgia, un senso di frustrazione schiacciante che non affligge solo il popolo cileno ma anche la sua Cordigliera, le voci umane si fondono con quella silente della roccia, in un commovente grido di avvertimento alle nuove generazioni, affinché non si rassegnino mai.
Daniel è un ventenne che vive una trasformazione spirituale mentre sconta la sua pena in un centro di detenzione. Daniel vorrebbe farsi prete ma questa possibilità gli è preclusa per la sua fedina penale. Uscendo dal centro di detenzione, gli è assegnato un lavoro presso un laboratorio di falegnameria in una piccola città, ma al suo arrivo, una serie di equivoci lo porta ad essere scambiato per un sacerdote e inizia a professare in una piccola parrocchia. La comparsa di questo giovane e carismatico predicatore diventa l’occasione per la comunità, scossa da una tragedia avvenuta qualche tempo prima, per cominciare a rimarginare le sue ferite.
Nel 1975 dopo il successo di El Topo e La montagna sacra Alejandro Jodorowsky era il cineasta intellettuale più ricercato del mondo, aveva carta bianca e quello che voleva era realizzare il film più importante della storia del cinema, traendo spunto dai romanzi della saga di Dune di Frank Herbert. Il suo Dune, doveva essere un film rivoluzionario in grado di cambiare la mentalità delle giovani generazioni fornendo nuovi modelli di riferimento. Per fare questo il regista aveva coinvolto un team incredibile che comprendeva i designer H.R. Giger, Moebius e Chris Foss oltre all’esperto di effetti speciali Dan O’Bannon, le musiche dei Pink Floyd e attori come David Carradine, Mick Jagger, Salvador Dalì e Orson Welles.
Detour con gioia e un pizzico di orgoglio vi invita a partecipare alla XX Edizione dei Corsi di Fotografia di Patrizia Copponi, ex-reporter d'assalto che da più di venti anni ha deciso di dedicare la sua vita all'insegnamento, condividendo con grande passione e instancabile disponibilità la sua conoscenza tecnica e storica dell'argomento. La docente, Patrizia Copponi, è fotoreporter dal 1980. Ha collaborato con i maggiori settimanali, quotidiani e mensili italiani ed esteri. Si occupa da decenni dell’Organizzazione di attività culturali sulla comunicazione visiva e dell’insegnamento della Fotografia. Insegna al Detour dal 2012 con dedizione e passione.
On the Road Film Festival, giunto alla sua settima edizione consecutiva, è un festival cinematografico di rilevanza internazionale articolato in due sezioni competitive, sezioni fuori concorso, focus ed eventi collaterali, che traccia un percorso inedito di cinema indipendente ispirato al viaggio, alle geografie erranti, agli attraversamenti di terre selvagge e agli spaesamenti metropolitani. Strada e frontiera ne sono le parole-chiave, da intendersi in ogni possibile declinazione, simbolica, geografica o temporale: il viaggio che percorre strade dimenticate, sentimentali o artistiche, la digressione da itinerari prestabiliti, il cammino individuale e gli esodi collettivi, il valicare di frontiere fisiche o mentali. Sede principale del festival  il leggendario cinema Detour di Roma, e con incursioni nell'area metropolitana e nell'intero territorio laziale. 
On the Road Film Festival, giunto alla sua settima edizione consecutiva, è un festival cinematografico di rilevanza internazionale articolato in due sezioni competitive, sezioni fuori concorso, focus ed eventi collaterali, che traccia un percorso inedito di cinema indipendente ispirato al viaggio, alle geografie erranti, agli attraversamenti di terre selvagge e agli spaesamenti metropolitani. Strada e frontiera ne sono le parole-chiave, da intendersi in ogni possibile declinazione, simbolica, geografica o temporale: il viaggio che percorre strade dimenticate, sentimentali o artistiche, la digressione da itinerari prestabiliti, il cammino individuale e gli esodi collettivi, il valicare di frontiere fisiche o mentali. Sede principale del festival  il leggendario cinema Detour di Roma, e con incursioni nell'area metropolitana e nell'intero territorio laziale. 
HERSTORIES HERSTORIES Ed1, un progetto che ha entusiasmato tutte dal lontano 2018 e che nonostante le difficoltà attuali siamo riuscite a portare a termine! E ancora una volta il Detour APS vuole ringraziare tutte le meravigliose ragazze e compagne di strada, più o meno giovani, che hanno contribuito a renderlo così speciale e indimenticabile con entusiasmo e una ponderata caparbietà: Valentina Bacco, Lucilla Castellano, Patrizia Copponi, Caterina D’Aleo, Eva Falco, Yuliya Falei, Vera Fusco, Francesca Grossi, Marianna Massimiliani, Anne McGlone, Chiara e Cristina Nisticò, Sara Pollice, Eva Rahima, Claudia Sardella.
Ultima proiezione prima della pausa estiva. Applaudito al festival di Cannes e ispirato alla autentica di due rock star sovietiche degli anni '80, il film è un tributo alla scena underground di Leningrado, poco prima dell'arrivo della perestroika. Viktor incontra la prima volta Mike e Natasha, un giorno d'estate ("leto" in russo). Mike ha già una discreta notorietà come cantante e una passione messianica per il rock, Beatles, Iggy Pop, Blondie, Lou Reed, Bowie, che la Russia sovietica cerca di tenere fuori dalla porta. Viktor è meno solare, molto espressivo, già post punk. Mike ne riconosce il talento, trova un nome per la sua band, Garin i giperboloidy, e lo aiuta a registrare e far conoscere la sua musica...