Roma Cinema Detour, Via Urbana 107 Roma
Giovedì 5 Maggio 2016 alle 20.30

ON THE ROAD FF PREVIEW 2016 

alla presenza del regista Maged El Mahedy

in collaborazione con
Negma Film

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 I DON’T SPEAK VERY GOOD,
I DANCE BETTER
(Non parlo bene, danzo meglio)

di Maged El Mahedy (Egitto/Italia, v.o. sott in italiano) 

Con Mahmoud Reda, Farida Fahmy, Maged El Mahedy, Pierre Sioufy, Refaat Kamel

Vincitore al Torino Film Festival
 
a seguire incontro con il regista Maged El Mahedy

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di Roberto Silvestri (tratto da “Alias” – inserto de Il Manifesto)

“I don’t speak very good, I dance better” – Non parlo bene, danzo meglio è l’ultimo film del regista e scrittore italoegiziano Maged El Mahedy.
Il film è un pamphlet complesso e sorprendente sull’Egitto di oggi, attanagliato tra strapotenza militare (che da Nasser in poi ha in pugno il paese) e subalternità religiosa, coppia famigerata ed eterodiretta che vorrebbe schiacciare qualunque possibilità d’emancipazione collettiva.

Abbiamo incontrato il regista a Roma.
Partiamo dalla complessa forma ibrida di questo ««falso» documentario: reportage giornalistico (sulla rivoluzione); dramma privato (la morte di tuo fratello per epatite c); film di denuncia (tragedia sanitaria del paese) e thriller politico (pericolo islamista)

C’è però anche un quinto elemento strutturale, che fa da collante a tutti gli altri, la danza. Ne parla il maestro Mahmoud Reda, è una forma di arte che presenta un’energia collettiva legata in modo dialettico alla storia egiziana degli ultimi 60 anni. Non a caso vengono mostrate immagini di un musical del 1965, Era Nasser, fino alle riprese di uno spettacolo di Reda del 2010. L’idea è che questa forma di espressione artistica (la danza come energia positiva) sia presente in gran parte del film, dalla piazza (pensiamo ai movimenti del corpo durante la preghiera collettiva) fino ai momenti intimi dove la musica è sempre in sottofondo (sia nel palazzo di Roma, che nella casa di famiglia di Tanta).

La stessa epatite C è una minaccia alla rivoluzione e all’energia espressa da quel milione di persone presenti in piazza Tahrir. La dialettica è quella dell’energia vitale/malattia, rivoluzione/conservazione, vita/morte. La rivoluzione è una forma di energia collettiva e spontanea. La riuscita della rivoluzione stessa è minacciata sia dall’epidemia sanitaria, sia dal potere. Sono stato profondamente impressionato dall’immagine sconvolgente del milione di persone che si muovevano in piazza come fossero una sola entità, una sola persona. Tale immagine è diventata ossessiva e ha condizionato l’intero processo di montaggio, rompendo la divisione tradizionale tra documentario e fiction, e condizionando la struttura stessa del montato finale.

Com’era possibile documentare un’immagine del genere con il linguaggio del documentario? Com’era possibile costruire una narrazione attorno ad essa? Alla fine si è scelto di costruire una struttura assimilabile a quella di una lunga onda sonora sinusoidale che conosce ritmi e velocità diverse. La prima immagine (e l’ultima) mostrano qualcuno (o qualcosa) che è in volo, e quindi è libero.
E poi scende sulla terra ferma e poi di nuovo risale nel volo. E così via.
(…)

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